Natale

In questi ultimi anni ho festeggiato Natale in molteplici compagnie. Il Natale da single nel big smoke con le amiche donne a base di tovaglia rossa, tanto cibo, e uno sleepover dopo un film zuccheroso, il Natale a casa della mia amica con mio figlio, le sue e loro padre col tradizionale tacchino Isolàno è un altro sleepover perché “vuoi andare via ora?”, il Natale successivo di nuovo da single che doveva essere di nuovo con le amiche stavolta a casa mia, ma poi è arrivato il COVID e mi sono ritrovata io con me stessa a cucinare crespelle, lasagne e un sacco di roba che mi sono fatta fuori con la tavola apparecchiata, il Xmas Jumper ed un relax e pace che non mi sarei immaginata. Mi scazzava che il virus abbia alterato tutti i piani, ma ancora una volta mi ha fatto capire quanto i piani siano inutili e quanto rende felici vivere il qui e ora, e questo Natale, con mio figlio di nuovo e sua zia. Non ci siamo abbuffati ma abbiamo giocato a bingo, costruito Lego, pattinato sul ghiaccio. Sono stati tutti Natali diversi, e diversamente belli.

Però.

Però quando vedo un Ferrero Rocher, ho pesco un numero per fare quartina, vedo con tenerezza come in un film certi Natali passati. Quelli di una volta. A casa di nonna. Con un tavolo, è una prolunga, e qualche anno dopo prolunga numero due. Gli zii tutti, il “primo set” di cugini, e poi la piccola. Con i regali che ci aspettavano in salotto, la faraona, il Pandoro Bauli, lo spumante secco, una quintalata di cibo e la carta dei Ferrero Rocher lisciata con le macchinine. Le infinite partite a carte, il camino, la caciara, i genitori che dopo un po’ non vedevano l’ora di tornarsene a casa tranquilli e io che sarei stata lì ad oltranza. Oppure certi altri Natali, con la zia materna e tutte le sue cognate a giocare a Mercante In Fiera e sperare che mi lasciassero tirare notte. Come scriveva la mia amica blogghjsta Alice, però, poi, come per lei anche per me negli anni la famiglia mi si è ristretta, invece che allargarsi. I nonni erano il collante. E anche senza quello i bambini in quei Natali erano molto di più di quelli odierni. I cugini si sono un po’ spersi, e Ryanair contribuisce a farti dire “si vola dopo il 27”.

Quando mi raccontano dei “Natali almeno in 40” io mi chiedo come sarebbe provarne uno in generale, e poi uno da donna di mezza età. Non so se praticamente mi sconcerterebbe o divertirebbe di più.

Prima o poi ve lo saprò dire.

Buone Feste a tutti.

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La Donna Rinascimentale

“Ogni piacere si arricchisce del ricordo di piaceri trascorsi.”
Marguerite Yourcenar


Circondata da cotanta bellezza. Un’altra volta.
Io ogni volta faccio sempre un po’ fatica a credere che un tempo ‘era tutto vero’ che le rovine erano palazzi, e che nei palazzi abitavano gli imperatori, e che gli imperatori non sono solo figure mitologiche create per i libri di scuola, o per tediarti nel tentativo di fare una versione di latino.
Cosi’ quando entro nella metro e vedo sui muri il display con tutti i livelli che furono della città mi sembra di essere in un film. A meno venticinque metri sotto terra il display dice che a questo livello stava la Città nella preistoria. Ci sono pezzi di marmo sottovuoto, e una folla di gente che si schiaccia per entrare nel treno. In una stazione ultramoderna piena di antichità dove pero’ il soffitto gia’ gocciola.
Per me e’ l’ennesimo ritratto puntuale della Città in cui non abito.
E appena fuori dalla Città in cui non abita, stava quello, di cui a tutti noi hanno fatto leggere al liceo le memorie. E’ un bellissimo libro, e insegna molto diceva il mio prof. Credo dovrei provare a rileggerlo con vent’anni di piu’ addosso.
Il protagonista e’ lui, che non e’ mai riuscito ad arrivare nel paese dove abito. E per cui l’isola vicina ha un muro, chiamato col suo nome.
“Siamo arrivati fin qui, oltre non ci hanno fatto passare” (oppure non ci interessava?) sembra volere dire.

Lui aveva una reggia, con una camera da letto affacciata su un ninfeo.
Un amante, affogato in una lunga vasca di marmo alla cui riva sta un coccodrillo, a richiamo di certi costumi Egiziani. E circondata da colonne e statue di uomini ora decapitati ma con un lato b che ti fanno pensare avesse davvero buon gusto.
Centopiccolecellette in cui stavano i suoi schiavi, cosi’ da averli vicini, per ogni desiderio ed evenienza.
Un tempietto di Venere, una biblioteca che poi scoprirono che non era usata come tale, una Piazza d’Oro dove accoglieva gli ospiti e si dilettava in giochi.
Lui aveva un km quadrato da chiamare casa, e di cui potenzialmente si potrebbe scoprire ancora molto (c’e’ ancora tanto da scavare…). Costruita quasi duemila anni fa, in uno spazio di circa vent’anni, io ci passeggio attorno. Cammino dove probabilmente passeggiava pure lui, col raffreddore che lui non aveva perche’ sicuramente le sue ancelle avevano dei mezzi molto potenti per farglielo passare….

Come ogni luogo attorno a questo luogo, questo centro dove c’e’ sempre qualcosa vecchia di nuovo da vedere, o di vecchia da vedere di nuovo, non puoi che non rimanere un po’ basita. Piacevolmente.

Il giro finisce, per proseguire poco piu’ in alto, dove c’e’ un’altra Villa.
Manca l’acqua, per qualche motivo. L’acqua che danza attraverso le sue fontane che la rendono il giardino piu’ copiato del mondo. Li’ dove Pirro costrui’ su commissione (oh toh) di un Cardinale. Ma io voglio entrare lo stesso.
E ci sono i marmi, e ci sono gli animaletti che in giorni non di secca spruzzerebbero acqua dalle loro boccuccie, e c’e’ una via piena di guizzi (la prossima volta tornerò senza doverli immaginare), e ci sono io, davanti a un panorama, un giardino terrazza. Io che paragono due cose totalmente incomparabili, ma mi viene comunque , perche’ li io sono davvero ammaliata. Mentre guardo la pecorella che pascola in distanza dico
“Pero’, pero’ questa mi piace di piu'”.
E c’e’ qualcuno, che non ne puo’ piu’ di fare ‘il turista’ perche’ io ritornerei infinite volte negli stessi posti da cartolina che mi dice
“Dopotutto ti piace pure tantissimo la Fontana di Trevi, sei una donna dal gusto Rinascimentale”.
E ci sono io, io che nonostante l’albero di Natale di Bulgari non mi abbia detto proprio nulla, ero felice come una bambina in trepidazione la Vigilia di Natale di essere tornata su quella scalinata “di Spagna”. Chissenefrega se guardando via Margutta dalla cima vedevo solo un fiume impenetrabile di gente.
Il Covid “e’ passato”, i turisti sono tornati. Ma nulla della magia di certi posti e’ mai sparita.
Sara’ che sono una donna romantirinascisentimentale.
Oserei pure dire Barocca – io che non uso Tic Tac Toc e che mi intendo molto poco di social, fosse stato Bernini un influencer, l’avrei decisamente seguito.

Il Gatto senza Stivali

Io lo dico sempre che i Gatti sono degli animali Furbi con trenta F maiuscole.
Ma non ho mai visto un Gatto cosi’ Furbo, non in questo modo.

Io alla mia belva apro la finestra, o la porta, e lui esce.
Avendo casa a pian terreno non deve fare grandi sforzi per andarsene in giardino a passeggiare e a trovare i suoi amici. Un saltino ed e’ fuori. Ha moltissime qualità, ma non si e’ mai trovato davanti a una situazione simile da aggirare. Mi chiedo come si comporterebbe…
Il gatto in copertina invece abita in un palazzo alto, ad un piano alto.
Dovrebbe farsi cinque piani di scale per andarsene in cortile a passeggiare e trovare i suoi amici.
Sarebbe un grandissimo sforzo per le sue zampine cosi piccole.
Potrebbe semplicemente rimanere nel suo appartamento? No, non rinuncia alla sua liberta’
Avendo un quoziente intellettivfelino enormemente elevato, ha trovato la scorciatoia: ha imparato ad usare l’ascensore. Con o senza padroni. Pure con gli sconosciuti – tipo me.
Tempo fa mi ha trovata davanti al portone, si e’ fatto coccolare un secondo e poi ha aspettato che aprissi.
E’ corso davanti all’ascensore ed ha aspettato che io premessi il pulsante.
E’ salito con me,
e’ sceso con me senza che io gli dicessi nulla
-io mi dico, ma come fa quel gatto a sapere quando arriva al piano giusto?-
e si e’ piazzato davanti alla porta di casa sua.
L’unica cosa che non e’ riuscito a fare e’ stato suonare il campanello per farsi aprire.
L’ho fatto io per gentilezza, ma credo che presto troverà un modo per arrangiarsi da solo anche con questo compito.

I gatti sono furbi, indipendenti, intelligenti, bellissimi e enigmatici.
E ce la fanno sempre, un modo di aggirare gli ostacoli che si trovano davanti lo trovano comunque.
Nelle mie prossime nove vite voglio essere un gatto.

Pausa caffè

In questo posto tutto bianco, arriviamo con una tazza, premiamo un bottone è un finto espresso e’ pronto per noi. Trenta secondi.

Prima però qua c’era una signora, ha aperto la macchinetta, svuotato un vassoio pieno di caffè, svuotato il bidone della carta, quello del non riciclabile, riordinato tazze e riempito un mega carrello pieno di sacchi.

Le ho detto “grazie” noi che passiamo da qui spesso non siamo esposti a quello che ci vuole per avere il nostro bel caffè super veloce. Gliel’ho proprio detto – grazie, non capita spesso di vedere chi fa il lavoro che ci sta dietro.

Ho pensato che vorrei ringraziare “tutti quelli che diamo per scontati” come lo spazzino o quelli che vengono a raccogliere i bidoni oggi, quando tornerò a casa sarà tutto vuoto. Per esempio, solo per esempio.

E poi vorrei ringraziare qualunque cosa “mi abbia fatto diventare come sono” perché ho mille difetti, ma ho anche mille Grazie da dire ogni volta. E potere dire Grazie alla Vita, ma non solo dirlo, sentirlo proprio come una cosa che si muove dentro e che ti scalda il cuore, è un dono incredibile con cui affrontare ogni giornata.

Se credessi in un Dio

Io sono un cuore ottimista ma ogni tanto mi piglia davvero male.
Mentre continuo a contare i miei blessings (e sono tanti, tantissimi, immensi) ho un flash.

“Imagine all the people living life in peace”

Sono dieci mesi, non capisco nulla di politica, di strategie militari etc etc. Ma l’Ucraina chiede all’Isola (apparentemente) armi letali.

E che l’Irlanda ne abbia, o quali siano gli altri stati che forniscono e a quale stato, poco importa.
Non capisco nulla ma capisco che qualcuno seduto su qualche trono ci tiene che sto strazio non finisca. Mentre gli altri muoiono di freddo, mentre gente come me viene portata allo stremo, mentre dicono che per quelli che arrivano qui le case non ci saranno come avevano previsto (oh toh, guerra o no mi pare una vecchia storia), mentre noi intanto, 6000 anime sui registri, mangiamo in pausa pranzo, al caldo, su delle sedie bianche, su tavoli bianchi, aspettando che sia venerdì. Gia’.

Se credessi in un Dio lo pregherei che possa per un attimo eliminare il libero arbitrio. E decidere lui che Pace ci vuole subito. Ma Pace vera. Per Tutti. E portare a termine questi suoi deliverables. Se e’ un Dio non dovrebbe essere una roba difficile.

“Un conto è ripetersi spesso che sei fortunato”. Già.

Happy Thanksgiving day.

Into the wild

E poi c’è lui.

Il famiglio, the pet cat dal nome esotico “Gattino” (G-a-t-i what?), amorevolmente anche detto da qualcuno “la belva di Satana” per quanto sa essere simpatico alle volte.

Da ragazzina avevo una gatta, Luna, io e la mia amica le facevamo un sacco di scherzi, si girava sulla sua coda come una trottola, saltava come un canguro. Le volevo tanto bene, ci ha lasciati quando è nato mio figlio. Non vivevo con lei da ormai molti anni, ma credo che per qualche karma mi sia ritrovata ora con una adorabile anima felina vendicativa.

Ci tiene che resti single, e’ il suo obbiettivo di vita.
Lo stereotipo delle Gattare è dopotutto quello di una donna nubile in pantofole e vestaglia che si dedica a una sfilza di esseri miagolanti.
Ma vuole anche essere unico, in ogni occasione.
Se proprio capita, si assicura che nessun uomo passi di qui se non per il tempo necessario per inamicarselo e farsi dare da mangiare. Fa qualche super favoritismo per i mattinieri, perché con loro non ha da aspettare le 8 per avere la ciotola piena.
Finge di tollerarli un po’ più a lungo. Fa le moine, li insegue se escono in giardino così può andare dalle sue fidanzate. Non dice loro mai “piantatela con quella robaccia”, anzi butta giù dal tavolo pacchetti di sigarette per invogliargli ad uscire.
All’inizio credeva a quella storia umana in cui i maschi dicendo che escono a comprare un pacchetto, non tornano più. Si e’ dovuto ricredere, li ha visti tornare, ma non si e’ rassegnato MAI.
Non gliene frega niente se io sono felice, li vuole morti. L’ultimo e’ stato azzannato almeno trecento volte al piede.
Quando “finalmente” se ne è andato da sta casa è andato in giro a vantarsi con tutte le gattine che ha vinto di nuovo.
E da quel giorno mi guarda e miagola, e miagola, e miagola.

Mi sono rifiutata di alzarmi all’alba per versargli crocchette.
Miagola che non posso fare solo quello che mi pare e piace. Sostiene che questa casa non è un albergo.

Gli ho detto “appunto”.

Si è rimesso accovacciato sul piumone e mi ha risposto
“tu vedi la prossima volta”.

Uomo avvisato, mezzo salvato.

Stupidera? Yes, please!

Tra quelli che mi piacciono o che ammiro,
non trovo nessun denominatore comune,
ma tra quelli che amo,
posso dire che:
tutti mi fanno ridere. 
– W. H. Auden

Donne, tenetevi strette quelli che vi fanno ridere.
Quelli che vi struccano per via di lacrime incessanti che iniziano a sgorgare sul vostro volto mentre arrivano i crampi alla pancia, e non perche’ siete addolorate – ma perche’ vi state scompisciando.
Quelli con cui potete stare sveglie fino alle 3, a parlare senza accorgervi del tempo che passa, divertendovi.

Che nello spettro delle emozioni la gioia, pure quella quasi demenziale, quella giocata, quella roba li’, insomma, e’ una roba importante.
Che se ride con voi (e non di voi!), siete a cavallo.
Poi potete anche perdonargli qualche gomitata accidentale nella schiena.
Un po’ meno il fatto che accusi il vostro famiglio di essersi preso tutto lo spazio, e dunque di limitare i movimenti suoi, costringendolo indirettamente a intaccare il vostro sonno beato.

La vita mi ha insegnato che volere veramente bene a se stessi e’ la base per stare poi bene con gli altri.
Ma se stando bene con gli altri, quest’altri portano una ventata di leggerezza, mi raccomando, godetevi tutto il piacere di accoglierla.

Che ci vorrebbero sempre decisamente piu’ fiori e molti meno cannoni.

Tutto chiede salvezza, persino dai biscotti.

Faccialibro, se lo uso, lo uso principalmente per riversarci i link di questo blog.
Dovrei rivedere la mia politica di uso social, ma la verita’ e’ che io sono una donna all’antica e non uso ne Instanteneagramma o il Cip Cip Blu, Tic Tac lo guarda ogni tanto mio figlio.
Mi rifiuto di fargli creare un account, per principio.
Cosi ne ho creato uno con la mia email, che sta sul mio telefono. Mangio pane e volpe ogni mattina.
Io non lo guardo mai, ma controllo cio’ che vede il figliolo, credo di essere una madre elicottero furba.
Sono solo una madre stuck in the 90s.

Comunque, il mio FacciaLibro e’ ormai pieno di pubblicità.
Pensavo che non potesse adescare parole dal blog, ma e’ l’unica spiegazione che mi do delle sue continue informazioni Capitoline. Non mi dice piu’ come faceva una volta, quali Santa’s Grottos si possono andare a visitare in Munster, o quali sono i migliori rashers del momento. Non mi parla di Pantomime, o di Cork on Ice… e’ tutta roba che sono dovuta andare a cercarmi io googlando. Tutta roba utile, su cui mi servirebbe restare informata per i prossimi mesi col figliolo.

E invece no – credo che poiche’ io non clicco link direttamente da Faccialibro da secoli, Faccialibro abbia deciso di rimescolare la ricetta dei Cookies, non gli do soddisfazione.
Magari mi offrisse cookies con chocolate chips, almeno li mangerei.

Stasera mi parla di Eterobasiche, du ragazzette che ‘prendono in giro’ i maschietti di oggi. Mi dice che da Novembre a Gennaio l’Orto Botanico sara’ pieno zeppo di Lucine. Mi fa persino i complimenti perche’ pure io ho visto la serie Netflix “tutto chiede salvezza”, e ho capito TUTTO (una cosa seria ve la voglio dire: fa pensare, molto, e ve la consiglio, non serve necessariamente afferrare ogni singolo vocabolo).
La mia amica C commentava che non ha sempre capito quello che dicevano i personaggi, mentre Ossicino osservava che anche se non me ne accorgo, ormai godo di una brillante propensione al linguaggio delle parti sue… se non avessi le e chiuse quando devono essere aperte e le Z sbagliate potrei quasi venire confusa per una local.

Faccialibro ha definitivamente esagerato coi suoi Cookies, e ora crede che io viva nel posto dove non abito e che abbia necessita’ di sapere tutto quello che li’ succede. Mi ha persino mostrato la casa piu’ piccola di Italia.
Sto pensando di fare un esperimento social(e) e postare ogni giorno una parola a caso, tipo ‘stivali’.
Ho parlato una vita della mia belva, sarebbe dovuto apparirmi ‘il Gatto’ da mo’, ma Faccialibro si vede non la trova una parola abbastanza interessante per stalkerarmi sul tema.
Mettero’ un bel Forza Lazio, per par condicio. Vediamo che cosa ne esce.

Ps Lo so che I privacy settings dei Cookies si possono modificare. A quanto li devo infornare per cuocere una delizia?





Wind warning

Una famosa scena durante Eunice

Vivo in una terra dove ormai un giorno su due c’è un weather warning. Sono le tre di notte. Il vento è così forte che mi immagino come una piccola Dorothy che tra un po’ verrà trasportata in aria nella sua casetta del Kansas. E anche se dovrei esserci abituata i rumori della natura in tempesta mi tengono sveglia. Poi l’ira celeste cessa per un nano secondo. Sento il respiro del figlio che dorme beato, il russare del gatto appallottolato ai nostri piedi. “Ci siamo tutti” mi dico, e penso che pensare questo pensiero mi possa cullare fino a mattina. Chissà se al di là della notte mi aspettano delle scarpette rosse per una nuova avventura. Dal regno del nord nord sud-ovest, è tutto.

Notte, e che sia buona.

Un vizio di famiglia

Mio figlio ha decisamente preso dai suoi genitori.
Ha l’istinto da cane da tartufo di suo padre per gli oggetti belli, e per la tecnologia.
Ed ha l’indissolubile amore ereditato dalla madre per ‘le esperienze’.
Mi dice che non sa cosa vorrebbe per se’ per Natale, ma gli piacerebbe che avessimo in casa una televisione nuova (io la guardo talmente poca che durante la divisione dei pani e dei pesci mi sono tenuta quella comprata nel 2011, che non me ne fregava proprio nulla di avere una roba fancy), e un nuovo computer.
Ha bisogno di un paio di scarpe ma non vuole che gliele compri senza di lui, perche’ io sono ‘stuck in the 90s’ ed apparentemente non ho il suo livello di raffinatezza.
Pero’, dicevo, ha preso da me (e ne vado molto fiera) la voglia di esplorare, viaggiare, raccogliere momenti.

Io vi direi “experiences, not things” lui vi direbbe probabilmente “experiences and things too”, ma meglio che niente.

Tra le esperienze che vuole fare, una e’ andare a Londra.
E’ una cosa che chiede da un po’, ma che alla fine non e’ mai successa, causa pandemia e cose varie. E forse perche’ essendoci cosi’ vicini mi sono sempre detta ‘ma si e’ una roba facile da organizzare’.
Una di quelle cose che dici e che poi non fai mai…. dunque deciso, sono andata su Booking, ho prenotato un hotel e sto iniziando a tenere d’occhio i voli. Ed ecco che un regalo di Natale / S. Valentino (perche’ sara’ il periodo in cui andiamo) si sta materializzando.
Gliene voglio regalare, dieci, mille, cento di cose cosi’, perche’ sono sempre convinta che valgono piu’ di un qualsiasi oggetto.
E se ci penso poi… suoi occhi che si illuminano per un biglietto del concerto di Ed Sheeran, il suo abbraccio dopo essere stato su una Gondola, l’euforia dello stringere la mano ad un mago per la sua festa, la sua faccia nel deserto del Sahara, e mille altri momenti cosi’, sono tutti momenti che per me non hanno assolutissimamente prezzo.

La seconda cosa che vuole fare e’ tornare presto in Italia. In Italia – mi ha detto qualche settimana fa.
“Ciccio, sai, ci sono i voli diretti per casa del nonno a Pasqua, andiamo a trovarlo?”
E allora vedi il suo concetto di Italia trasmutarsi.
Don’t get me wrong, simpatizza per la famiglia materna, ma e’ che al paesello non c’e’ proprio nulla da fare…. e non avendo cugini dal lato materno o gente della sua eta’ con cui passare il tempo, si annoia sempre un po’.
E la sua vena ‘pro experience’ che io adoro gli tira fuori automaticamente voglia di continuare a viaggiare con me.
“Ok, ma facciamo ANCHE qualcos’altro? Come l’altra volta che siamo andati a Venezia… anzi, possiamo tornare a Roma, it’s so so coooollllll!!!!”.

Lui – dovete sapere che lui e’ pure un adrenaline junkie.
Avendo gia’ setacciato Gardaland (che era il mio posato preferito da bambina e che mi emoziona tuttora, e le somiglianze continuano…), essendo stato a Leolandia, quando dice cosi’ mi viene in mente Cinecitta’ World. Non ci sono mai stata, ma sono sicura che gli poiacerebbe. Allora inizio a macchinare, studio gli orari, guardo i biglietti…
Io – dovete sapere che io sono un’amante delle sorprese: farle e riceverle.
Alla l’idea sorpresa me la tengo, faccio in modo di cambiare discorso e la conversazione cade.

Stamattina apre gli occhi e la prima cosa che mi dice e’
“Mamma, per Pasqua possiamo andare alla Fontana di Trevi?”.
Ero ancora mezza addormentata.
Nel dormiveglia ho pensato due cose:
1. se viaggiare e’ la prima cosa che pensi alla mattina, vuol dire che ce l’hai nel sangue, e ti auguro che questa curiosità e questo animo esploratore rimangano con te per sempre
2. Hai detto Trevi – che ci avrà’ fatto mai, a noi, quel posto ….”deve essere un vizio di famiglia”.